Tutti sappiamo che molte “spalle dolorose” sono dovute alla sindrome da impingement subacromiale. Questa condizione è caratterizzata dallo “sfregamento” ripetitivo del tendine del sovraspinato sulla volta coracoacromiale (processo acromiale e legamento coracoacromiale) che determina nel tempo tendinite, dolore, lesioni tendinee.
Ogni movimento che riduce lo spazio subacromiale sarebbe pertanto potenzialmente dannoso (tirate al mento, alzate laterali in intrarotazione, panca senza arco adeguato) mentre con un bell’arco sulla panca, conservando così lo spazio subacromiale, eviteremo questo problema e pertanto potremo stare tranquilli; se poi extraruoteremo l’omero durante le alzate laterali il nostro sovraspinato sarà immune ad ogni insulto.
Tutte queste affermazioni vengono spesso ripetute come un mantra ma siamo davvero certi che esse si basino su reali dimostrazioni scientifiche?
Apparentemente sembra che al centro dell’attenzione non ci sia il mantenimento dello stato di salute o la gestione della patologia del tendine stesso (il vero protagonista) ma piuttosto lo stato di ciò che gli sta intorno (superfici osse, ecc.) ma siamo davvero sicuri che il tendine sia solo un semplice spettatore in balia dei “vicini di casa”?
Per poterci ragionare su è indispensabile per prima cosa parlare la stessa “lingua” e quindi fare un ripasso sul significato dei vari termini che utilizzeremo
Tendinopatia: condizione che si caratterizza per la comparsa di dolore a livello del tendine e dei tessuti molli circostanti e che si verifica quando il tessuto tendineo non riesce a ripararsi in modo appropriato in seguito ai microtraumi della vita quotidiana/allenamento. Il quadro istologico è caratterizzato principalmente dalla disorganizzazione della struttura tendinea; ciò inficia le proprietà fisiche del tendine stesso e ne determina un precoce affaticamento peggiorando ulteriormente il dolore fino al collasso del sistema.
Tendinite: termine generico che indica di solito uno stato di irritazione, affaticamento e biomeccanica sfavorevole e sottende una componente infiammatoria del quadro.
Tendinosi: degenerazione e disorganizzazione del collagene tendineo con aumentata vascolarizzazione e cellularità senza evidente componente cellulare infiammatoria.
Tendinite e tendinosi rappresentano sottogruppi della tendinopatia [Seitz AL. et al. 2011]. Spesso sono usati in maniera intercambiabile ma ciò è impreciso. Essendo tutt’ora poco definito e definibile il continuum insulto-infiammazione-degenerazione, spesso utilizzare il termine “tendinopatia” può aiutare a non commettere imprecisioni.
Come un mantra? Mica tanto…
Ritorniamo alla sindrome da conflitto subacromiale (la cui definizione ad opera di Neer risale circa 40 anni fa). Questo concetto fisiopatologico, comunemente brandito come se inciso sulle Tavole della Legge, è in realtà un’ipotesi che ad oggi non è sostenuta dalle attuali evidenze [Ron Dierks et al. Papadonikolakis et al. 2014]. Una relazione diretta tra il substrato anatomico (la loggia dell’acromion, le caratteristiche morfologiche osteoarticolari e tendinee, ecc.), il carico funzionale ed il dolore non è sempre individuabile o presente. Secondo molti Autori ed alcune raccomandazioni internazionali, addirittura, la definizione “sindrome da conflitto” dovrebbe essere abbandonata a favore di una più generica “sindrome da dolore subacromiale”.
4 punti certi che in realtà non lo sono affatto [Papadonikolakis et al. 2014]
Le manovre cliniche ed i test in generale possono distinguere efficacemente la sindrome da conflitto da altre condizioni.
Insomma: mancano evidenze sufficienti in tal senso. I classici test come quelli di Neer e Hawkins possono infatti essere sensibili, ma non sono specifici (spec. 36% ± 22%) [Suder et al. 1994, Naredo E. et al. 2002, Park HB. et al. 2005].
Le comuni forme cliniche di lesioni della cuffia dei rotatori sono secondarie al contatto con l’arco coracoacromiale.
Mancano evidenze sufficienti in tal senso. Negli studi sugli animali in cui veniva indotto un conflitto subacromiale, questo provocava lesioni diverse rispetto a quelle comunemente individuate nella pratica clinica (ovviamente tali studi sugli uomini non sono fattibili). Va considerato anche che la maggior parte delle lesioni a spessore parziale coinvolge il versante articolare del tendine del sovraspinato (ovvero quello profondo, in ogni caso mai a contatto con l’arco).
Ecografia lesione sovraspinato
A sinistra: ecografia del tendine del sovraspinato, scansione longitudinale. La freccetta gialla indica una lesione parziale del versante articolare. Queste lesioni hanno un’incidenza doppia rispetto a quelle coinvolgenti il versante bursale sebbene tale porzione del tendine non tocchi mai la volta. [Ellman H. 1990]
Le metodiche di imaging attualmente disponibili sono inoltre limitate nella valutazione dinamica del conflitto perché (semplificando molto):
gli X-rays non possono valutare il tendine
la RMN valuta il tendine ma è un esame statico (non valuta la meccanica completa del movimento)
l’ecografia è un esame dinamico ma non può valutare cosa succede sotto l’acromion per i suoi limiti intrinseci (sebbene possa entro certi limiti “vedere” al di sotto del legamento coracoacromiale).
Il contatto tra l’arco coracoacromiale e la cuffia dei rotatori non avviene nelle spalle sane.
Negli studi su cadaveri con la spalla normale, la cuffia dei rotatori entra di norma in contatto con l’arco coracoacromiale. Per chi si occupa di ecografia muscolo-scheletrica è inoltre non infrequente documentare, alle manovre dinamiche di flessione-abduzione-intrarotazione dell’omero, un apparente impingement al di sotto del legamento coracoacromiale in pazienti del tutto asintomatici (attraverso segni ecografici di “attrito” tra il tendine del sovraspinato ed il legamento stesso).
Un trattamento efficace per la sindrome da conflitto richiede necessariamente l’alterazione chirurgica della volta.
No, non è vero. Molti studi di alta qualità hanno fallito nel dimostrare la superiorità dell’acromioplastica nei confronti di trattamenti conservativi che non vanno a modificare l’arco coracoacromiale.
Rivendendo pertanto la letteratura più aggiornata, non vi è alcuna dimostrazione che supporti l’ipotesi che le lesioni della cuffia siano, nella maggioranza dei casi, dovute allo sfregamento sull’arco coracoacromiale. Non vi è infine nessuna dimostrazione che la “sindrome da conflitto subacromiale” sia una diagnosi distinta rispetto ad altre condizioni attualmente ben definibili con metodiche opportune di imaging (es. tendinosi della cuffia, lesioni tendinee a spessore parziale o completo) [Codman EA – The Shoulder, Matsen FA – Clinical Practice – Rotator Cuff Faliure].
Considerazioni sull’impingement subacromiale e la tendinopatia del sovraspinato
Aggiornare le proprie nozioni sulla fisiopatologia di questa condizione dolorosa ci permette di aprire e comprendere alcuni scenari molto interessanti, ad esempio:
perché mio cugggggino fa le alzate laterali in intrarotazione e le tirate al mento come se non ci fosse un domani e sta benissimo?
Perché io, che faccio una panca figherrima con tanto di arco di trionfo mi ritrovo una lesione parziale del sovraspinato e, soprattutto, ho male?
Perché io, che prima facevo un po’ di alzate laterali in intrarotazione e stavo benissimo, dopo aver letto il Project Invictus ed essermi messo a fare millemila esercizi strani come consiglia Andrea Biasci, adesso ho una spalla gigia?
Approfondimenti
Esaurita la pars destruens, il cui scopo era dare uno scossone alle nostre certezze, passiamo alla contruens. Tradizionalmente la tendinopatia del sovraspinato viene attribuita a due meccanismi: estrinseci ed intrinseci.
I fattori estrinseci
Rappresentano i meccanismi che causano la compressione del tendine del sovraspinato.
Varianti anatomiche: forma dell’acromion, osteofiti acromiali, modificazioni osteoartrosiche dell’articolazione acromioclavicolare. Questi elementi sono stati spesso chiamati in causa come fattore predisponente, ma e’ ancora molto controverso se l’associazione rilevata negli studi epidemiologici sia di tipo causa-effetto [Soslowky lj. et al. 2002, Maffulli n. et al. 2011].
Fattori biomeccanici (attenzione: non verrà preso in considerazione il tipo di conflitto detto “internal impingement”, tipico degli atleti di sport overhead come il baseball, essendo un subset di pazienti particolare ed a sé stante):
cinematica scapolare inappropriata. l’ipotesi suggerirebbe il difettoso spostamento della porzione anteriore dell’acromion rispetto alla testa omerale durante l’elevazione del braccio (scapular clearance) con riduzione dello spazio subacromiale e compressione del tendine. Sono stati globalmente rilevati diversi profili variabili di cinematica scapolare in diversi gruppi di pazienti ma vi sono molti dubbi sulla significatività clinica di queste rilevazioni e sul ruolo del movimento scapolare come meccanismo estrinseco generale nello sviluppo della tendinopatia [Seitz AL. et al. 2011]
Alterazioni passive nella posizione della scapola: anche in questo caso, il significato e la rilevanza clinica di questi aspetti è di fatto incerta. [Seitz AL. et al. 2011]
Postura cifotica della colonna dorsale. Effettivamente ad un aumento della flessione del rachide dorsale è associata una riduzione dello spazio subacromiale. Per il resto, valgono comunque le considerazioni precedenti.
Cinematica omerale: la migrazione prossimale dell’omero sulla glenoide del braccio a riposo è un segno di malattia tendinea avanzate, ma è appunto la presenza di una severa tendinopatia e la disfunzione della cuffia dei rotatori a determinare tale malposizionamento verso l’alto ed a causare pertanto il conflitto contro l’acromion piuttosto che l’opposto [Neer CS. 2nd. 2005].
Eccessiva rigidità della porzione posteriore della capsula articolare: questa condizione sembrerebbe causare effettivamente (nel cadavere, almeno), durante la flessione passiva gleno-omerale, una riduzione dello spazio subacromiale a causa di un aumento della traslazione anterosuperiore della testa omerale [Umer M. et al. 2012]. Sulla base di questa ipotesi è stato suggerito nei protocolli di riabilitazione lo stretching per il trattamento della rigidità della porzione posteriore della spalla. Questi provvedimenti si sono rivelati, in una parte dei pazienti, un’importante componente del percorso riabilitativo [Kuhn JE. et al. 2009] eppure anche questo meccanismo non è probabilmente un fattore presente in tutti i pazienti con tendinopatia [Seitz AL. et al. 2011].
Fattori intrinseci
Rappresentano l’insieme dei fattori associati alla degenerazione tendinea.
L’invecchiamento, come per tutti i tessuti, colpisce il tendine in maniera negativa, riducendone le qualità biologiche e pertanto inficiando quelle biomeccaniche e la capacità di guarigione dai microtraumi [Templehof S. et al 1999].
Alterazioni della vascolarizzazione. Per farla breve, in realtà, ancora non si capisce se e quale sia il ruolo delle alterazioni della vascolarizzazione dei tendini della cuffia (ed in particolare del sovraspinato) nello sviluppo della patologia [Seitz AL. Et al. 2011].
Alterazioni della matrice tendinea. Qui viene il bello, e lo riassumiamo così: “nella patologia la domanda richiesta al tendine ad un certo punto eccede la capacità del tendine stesso di farvi fronte e si verifica pertanto il danno. Esso quindi si protrae e/o progredisce quando vengono superate capacità del tendine di riparare i deficit strutturali” [Rriley G.P. Et al. 2004, Maffulli N. et al. 2011].
La domanda può essere così elevata da superare le capacità di un tendine pure molto performante (nell’atleta), oppure può essere anche scarsa ma risultare comunque eccessiva nei confronti di un tendine completamente inadeguato perché mai adeguatamente stimolato (il sedentario).
Degenerazioni tendinopatiaUn modello semplice ma completo in grado di riassumere il continuum stress → reazione adattativa → reazione maladattativa/degenerazione. Tale processo è potenzialmente reversibile, tuttavia nelle fasi più avanzate tale reversibilità è meno scontata.
Conclusioni
Vi sono dimostrazioni sempre più convincenti di come siano i meccanismi intriseci piuttosto che quelli estrinseci a giocare il ruolo più importante nello sviluppo della tendinopatia della cuffia di rotatori. L’approccio all’allenamento ed alla riabilitazione dovrebbe incentrarsi sul prevenire e trattare le discrepanze tra il lavoro richiesto al tendine (in termini di volume, intensità, frequenza ecc.) ed il suo stato di salute e di fitness.
Il movimento ed il sovraccarico hanno sia potenzialità curative che potenzialità distruttive nei confronti della struttura tendinea e questo a prescindere dall’ambiente che la circonda.
I fattori estrinseci hanno senz’altro un ruolo predisponente la comparsa di lesioni perché fondamentalmente mettono il tendine nelle condizioni di lavorare in modo sfavorevole oppure ne ostacolano il recupero.
Non saranno tanto le specifiche caratteristiche dell’esercizio di per sé a determinare la salute della vostra cuffia (es. intra o extrarotazione dell’omero), ma saranno piuttosto:
le caratteristiche del vostro tendine (sia quelle geneticamente determinate che quelle sopraggiunte con l’allenamento)
le caratteristiche del vostro allenamento e le sollecitazioni al quale lo sottoporrete
le condizioni (favorevoli o sfavorevoli) nelle quali lo metterete a fare il suo lavoro.
(Fonte: http://www.projectinvictus.it)